Il cielo niveo di Gemma

Il raggio riflesso sul palmo imitava il bagliore dell’alba, eppure, il sole bussava arrogantemente ai confini del cielo.

Le nuvole erano cumuli d’ovatta carichi di pioggia. Silenziose come non mai, osservavano una lacrima bagnata d’azzurro annegare lentamente nelle illusioni di una vita intera.

Sfiancata dallo scorrere inutile del tempo, Gemma aveva deciso, forse, di chiudere un cerchio, dove a nessuna chimera avrebbe più concesso rifugio.

Il vento taceva, lo aveva imprigionato dentro un pugno di sabbia. In quel momento, tutto ciò che voleva ascoltare, lo avrebbe sentito dalla farfalla tatuata con lacrime di inchiostro al suo polso.

Fece scivolare lentamente le mani fuori dalle tasche, le fissava sospese nel vuoto. All’improvviso, liberò il dolore custodito giorno per giorno nelle profondità dell’anima. Il peso del nulla sbriciolò ogni pensiero, e la forza dell’aria disperse i sensi che potevano accogliere nuovi rimpianti  o vecchi ricordi.

Il fiato troncato dai battiti del cuore  venne scaraventato altrove insieme alla paura.

Per Gemma fu come accompagnare lo sguardo alle radici di un albero in fiore, assicurarsi che ogni petalo venisse slacciato, per poi, godere di quello spettacolo, facendone parte anche lei in un unico giro di danza,  lento e di un solo colore.

Aveva annodato tutto al sottile filo di quel istante. Considerò il tempo trascorso nella morsa di un urlo, e insieme al passato, li aveva imprigionati dentro un  pezzo di carta,  e adesso finalmente, poteva  offrirli all’ebbrezza del volo senz’ali.

Forza Gemma si ripeteva, basta strappare l’inferno dagli occhi… e.

Bugiardi!

Falsamente, anche adesso evocate  immagini custodite nel cuore?

 

Nascosta dall’ombra, tante notti il mare le aveva accarezzato i seni come un amante, confondendo la sua carne, con le acque che arrivavano a morire nelle risacche colme di illusioni.

All’alba, nessuna impronta sulla sabbia bagnata, solo le alghe ricoprivano il suo corpo, unici testimoni, erano i gusci vuoti delle conchiglie, a cui le spume salate avevano sottratto i segreti per lenirne l’amarezza.

Nelle notti a cui la mente non concedeva tregua, accompagnata dal chiarore della luna, realizzava catene con sassolini e perle, intrecciandole ai propri capelli…  e sussurrava:

In che modo potrei allontanare la morsa che mi stringe il fiato in questo momento? Perché le mie ossa sono ancora coperte di carne? Maledetto sguardo!  Sii bugiardo e  non versare lacrime per un amore che in un sol colpo  uccide e offre vita. Dimmelo! Dimmelo tu freddo sasso il perché,  di questa prigione che le mie labbra bramano. E  dimmi tu perla, perché disperata mi aggrappo alla sua voce ancora calda, mentre ripete il mio nome rinchiuso in quel “ti amo”, straziandomi il cuore” ?

 

L’aria era ferma. Le nuvole d’ovatta si mescolarono ai ricordi e nella nebbia si aprirono ciechi gli occhi. Il buono odore del mare, non era più brezza che sfamava, ma tempesta che lamentava fame. Il pianti delle onde, intonavano un ritmo sordo di parole che dal vuoto chiamava impaziente, fino a che, sciolte le ali, l’abisso diventò oblio del presente,  e tutto si rinchiuse nell’ acquerellato di un cielo niveo…  

 

 

Volo di polvere d’ali

seguì la donna

in flutti accoglienti.

 

Le sue labbra ancora

parlano tra le onde.

 

Di rosso rubino, il sole

si spogliò per amore.

 

Nelle candide spume

di miele e valve

indossò il buio.

 

intrecciando

le lunghe chiome

al suo canto.

 

Tra le sue mani

tremante d’amore

lasciò inviolato.

 

Un  unico respiro.

Un unico nome.

 

 

Cristina Desogus

 

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