Quanto?
Quanto ho atteso questa lunga notte
per piangere, liberare il peso che schiacciava il respiro,
come se la volta celeste dovessi sostenere
con le mie stesse mani, sapendo di non reggermi
neppure salda sulle mie gambe.
Quanto?
Quanto ho atteso il buio e il silenzio, invocando
lo squarcio di un fulmine che incenerisse anche l’ultimo albero,
affinché il suo fruscio smettesse di farmi compagnia.
Oh, silenzio
mio adorato compagno, mio amante fedele,
quanto ti ho atteso nell’attimo di noi,
dove il mio cuore poter alleggerire, dal dolore…
Quanto?
Quanto adesso che nei miei occhi stanchi
sento l’incedere del pianto il mio petto è leggero,
mentre suona il suo canto,
come se la notte fosse una grande arpa divina,
in cui le mie mani disegnano i sogni di me bambina,
liberandomi nel nulla, senza peso ne tormento.
Quanto?
Quanto ho lasciato andare nella luce che s’allontana,
guardando l’angolo più nascosto della mia anima
per non sentire, la mia vita come una diga che frana.
Quanto?
Quanto ti amo mio adorato silenzio, adesso,
che nel riflesso lontano del mare in tempesta
non sento, più occorrenza di quel calore
che ormai, non ha più voce, ne parole.
(Criss)