Una nota stonata

Aprì le mani, e nell’incauto gesto lasciò cadere sul selciato una stilla che rievocava la sua realtà. Negli schizzi senza sfumature di colore, si definirono come sassi le domande sconsiderate di cui conosceva qualsiasi riscontro, aveva capito nel tempo d’essersi legata alle trasparenze che spesso confondevano le sue albe, e semplicemente aveva custodito la necessità di prendersene cura.

Echeggiava nella sua mente la frase di sempre: “tu sei, come la pioggerella serena quando rinvigorisce i fiori rovinati, li riconsegni all’aria con il tuo  profumo  prima che i petali ne vengano dissolti”. Silenzio!

Il silenzio era tutto ciò che in quel momento avrebbe desiderato ascoltare.

Quell’attimo irreale che vive in un rintocco senza suono, e che neppure una volta prima di allora,  le era apparso discordante.

Esiliò la voce dentro un’ unica nota stonata, posandola nel rigo introverso del suo sguardo. Nelle foglie, dipinse un viso senza labbra e agli occhi stanchi chiuse le mani intrecciando pensieri scomposti come capelli sciolti al vento.

Si strinse al nulla. Come quando fissava il vuoto delle illusioni rimandate nella realtà dallo specchio di una pozzanghera, da qui poi, afferrava impercettibili filamenti d’oro regalati dal sole fissandoli a degli aquiloni e senza respirare spiccava il volo verso il mare lontano.

Lei era capace di vivere il silenzio.

In modo naturale cancellava le distanze senza muovere un passo, la tempesta lambiva gentilmente il viso fino a cicatrizzarle ogni disillusione.

E allora… perché proprio quel giorno, l’immaginazione non superava  la malinconia?  Perché il temporale ingrossava le pozze e i solitari bagnasciuga dove costruiva castelli di sabbia plasmavano deserti fin dove gli occhi potevano vedere? Perché oggi,  occorreva contare i singoli granelli per non annegare nel vuoto?

E cadde la pioggia… e continuò a cadere ancora negli abissi del suo essere fragile, quella giornata senza sole.

 

Cristina Desogus