Il confine del silenzio

Regalami
delle rose le spine
dei campi
 i cardi selvatici
dei fiori
 le ginestre chiuse
affinché
con il mio sangue
si possa nutrire
la pianta novella
che deve ancora
nascere.
 
 
 
Non è importante sapere per nessuno in quale giorno accadde, oppure, se ancora sarebbe dovuto accadere.
 
Si risvegliò non avendo riposato affatto; il primo istinto da seguire fu quello di chiudere la porta a chiave.
Poi l’avrebbe gettata lontano.
Già fatto!
Ogni fuga doveva essere impedita.
 
Trattenendo il respiro osservò tutte le pareti; soffermandosi senza fretta su ogni centimetro bianco.
Sapeva cosa cercare tra le impronte, le macchie e le paure.
 
Cercava se stessa.
 
Gli occhi dilatati accusavano il panico di quella nottata.
L’ indefinito si era impadronito della sua mente, riducendo subdolamente ogni spazio che potesse sostenere la forza di ribellione al buio che accerchiava ogni cosa.  
 
Cercò di riprendere il controllo del pensiero dirigendo verso il basso lo sguardo, ma nello spazio libero del pavimento si delineò una lamina di ghiaccio sottilissima; non fu difficile immaginare il baratro.
 
Confinando il fiato in gola, sollevò lo sguardo verso il soffitto e, lentamente vide la forma imprecisa di linee e figure.
Chi erano?
Cosa erano?
Quanto erano semplici… apparivano eseguite dalla mano istintiva di una bambina; scarabocchi lasciati lì in eredità dal delirio appena trascorso. 
 
Era buio. Troppo buio.
 
La paura stringeva i polsi e slegava le carni dalle ossa.
Il costato sollevandosi per riavere aria faceva male; una sofferenza che avrebbe dovuto svegliare la mente dal torpore.
Quell’incubo, invece, eseguì prontamente un giro doppio allo stomaco con costrizioni e catene ancora più pesanti e,  schiacciò ogni volontà di reazione.
 
Ora, come poteva essere che la schiena si trovava inchiodata alla superficie  di quella lastra? Quando era accaduto?
 
Era il terrore del travaglio di una notte che nasceva in quel giorno.
 
Nell’ assedio completo di ogni muscolo, il corpo poteva contare solo sullo sguardo, un solo movimento di pensiero che diventava il portavoce di tutte le emozioni.
 
Tutto scivolò lungo il corpo senza sfiorarlo; tranne lo sguardo.
La parete del soffitto si fece più vicina  e vide un nuovo disegno, si distinguevano le parole che avrebbe voluto pronunciare in quel momento:
 
Traccio una mappa.
 Cerco un luogo.
Non voglio risposte.
Chiudo il confine
del  silenzio.
Disgiungo la struttura
 dell’urlo.
 Crocifiggo il cuore
 annientato dall’amore.
 
La padronanza di poter agire indipendentemente dalla stessa volontà premeva contro l’istinto di sopravvivenza.
 
In quel momento come ora… non era importante sapere per nessuno se si riuscisse a farlo,  né se si doveva ancora fare.
 
Fammi vedere come inchiodi il tuo cuore a quella parete sorrise l’ombra svelata dalla nebbia del respiro.
 
È  un errore chiedere.
È un errore  solo il pensare
di poter chiedere al cuore
di trattenere l’amore.
 
 
 
Un’unica lacrima cadde dal quel corpo immobile; il rimbombo della sua caduta svincolò il respiro dalla morsa provocando una crepa sul ghiaccio.
Un’unica lacrima che smascherava la fragilità di quell’essere appeso al filo dell’ istinto. Quella mattina segnava il risveglio dell’abisso sotto di lei.
Spinta dall’istinto si era gettata in caduta libera dimenticando di aprire un inutile paracadute.
Oppure, più semplicemente, aveva scordato di lasciare le piume attaccate alle ali, invece che strapparle per scrivere emozioni e sogni.
 
 
È un errore chiedere.
È un errore solo l’immaginare
di poter chiedere
al cuore di non annegare
 nelle lacrime per amore.
 
 
 
Cristina Desogus

Una risposta a “Il confine del silenzio”

  1. …nell’accettazione della vita vissuta, tra spine e tra fiori c’è traccia di noi stessi che resterà oggi, come ieri, ma anche domani…quando la luce del giorno si spegnerà affollando la mente dell’oscurità…

    (PS. Mi sarebbe piaciuto commentarti su “ParolArte” ma non mi si apre alcuna pagina nè con explorer e neppure con mozilla).

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