Archive for the ‘Parole come spade’ Category

Occhi d’aria in chicchi di grano

sabato, Dicembre 1st, 2012

Lembi di pensiero hanno tratti di pelle,
s’accostano al pallore innocente di un paio
di labbra che mai hanno assaporato baci,
sono sguardi calmi che da tetti obsoleti
partecipano ai lutti di cui non conoscono
né inizio né scopo, eppure li vivono.
E la mano. Ah quella penna autentica!
Feconda d’essenze, nella mente impasta
paure, s’appoggia ai colori spensierati
d’ inalterati prati, si disseta dell’oro
dei giorni d’estate e intinge il suo dito
ossuto, nelle deluse macchie dell’umanità.
Ed esse emergono, sguazzano discinte
a pelo d’acqua come gocce d’olio;
il mondo è in un bicchiere che non riesce
a fonderle in drappo di finto azzurro.

Cristina Desogus

Un giorno qualunque

sabato, Novembre 24th, 2012

O maledetto
giullare
dei miei viaggi
notturni

ormai dirigi
lo sguardo
verso
navi di nebbia,

giardino
triste
di rose rosse
m’hai piantato
in petto
con la tua fuga.

E le parole?

Introverso
canto di cicale
in cui
abbandonare
la saggezza.

Cristina Desogus

L’elemosina di un granello

venerdì, Novembre 16th, 2012

Vedevo un sole azzurro tra le ginestre
gialla di foglie era vera quella visione;
baci franavano da false rinascite come
dai tuoi occhi quei piccoli vetri di sale.
Ci si era persi tra ciglia d’un flashback,
poi d’un tratto… gli alberi erano neri
come uno sputo di ghiaccio sull’erba,
onde smosse da confuse labbra fallaci
e la voce era cadenza dai toni argento.
C’eri anche tu l’autunno in cui toccava
terra un fiore facendo tanto rumore?

Cristina Desogus

Il mio gatto ha sete

mercoledì, Novembre 14th, 2012

Oggi ho proprio fame
di poesia
fame di una vita vera,
di una vita vissuta
e non
leccata dalle finestre;
Intorno a me pagine
di
Corso
Bukowski
Baudelaire
Verlaine
Hölderlin
Puškin
Il mio gatto ha sete
mi fissa, aspetta
e dal lavandino cade
un goccia
gocciola il tempo
la noia di me.
Altri cinque versi
forse dieci
un’altro morso
di poesia, di verità
e poi slaccio astio
dalle ossa
dalle vene
dalle ore.
Leggo
leggo il respiro
di una notte disfatta
uccisa nei passi
al buio,
nelle luci smorzate
poi spente
-tieni docile amico,
ecco l’acqua,
sai ancora mi chiedo,
il perché di tutto
non si slegano le idee
mi fissano, come te
e sono sempre li,

ma d’altronde
ho fatto ben altre cose
senza
capirne il senso,

e se avessi
un cuore per guardarmi
dentro senza bugie
in quel lampo di ragione
potrei anche strapparmi
gli occhi.

Cristina Desogus

Venne da me…

sabato, Novembre 10th, 2012

Venne da me la notte
e disse: ho da parlarti.

Scavalcai la sua bocca,
e senza fretta
continuai a leggere
le poesie di Brodskij.

Mi sfiorò i capelli,
e poi di nuovo il viso;
la mano
era fredda, pesante

– lo ricordo bene-

Disse ancora
con voce dura: chiudi
quel libro.

Mi invitò a seguirla,
scalza, disarmata,

sentivo sulla pelle
fluire paura; ombra;
ansioso silenzio,

e il fango…

era affondo affilato,
catena di ferro
e acqua.

Le note stridenti
di un piano distante;
l’eco
dei tuoni e i latrati
dei cani, chiudevano
il respiro
dietro la schiena;

-ero lama, e buio-

Venne da me
affamata la notte
e come una fanciulla
si aggrappò
crudele ai miei seni,

e disse

donna: ho da parlarti.

Cristina Desogus

Come pioggia negli occhi

mercoledì, Novembre 7th, 2012

Ed infine, crolla
in rovescio il tramonto.

Funereo il cielo;
è solo inane sfumatura
per lo sguardo.

Pioggia negli occhi,
il bacio di quell’aurora:

sui tetti, umidi
uccelli lavano l’affanno
dai fianchi;

e ti scorgo, in tremolio
improvviso di volo

effimera ebbrezza,
la tua fuga s’addossa
su scolorite labbra;

e ti incido in quel,
fumo riempiendo stasi
di vizio e veleno,

e godo di arsa visione
con stessa vanagloria
con cui ti amo.

Cristina Desogus

Sono solo un pagliaccio

domenica, Novembre 4th, 2012

Sai
a volte ti invidio.
Penso: vorrei avere il tuo estro
l’inventiva di cucire parole
come bottoni alla sottana della notte
oppure
oppure inventare una storia
dal nulla
così
immaginando
di essere una bambina
che ritaglia dei cartoni
poi colorarli
dargli forma
quella
quella che più mi piace
una che mi faccia ridere
che rispecchi
il mio essere pagliaccio che prende per il culo
solo se stessa
e mentre ride
piange.
Sai
a volte invidio anche te
che della vita hai capito tutto
mentre
io continuo a rivoltarmi dentro
come un calzino rotto
senza mai capire un cazzo
di come vanno davvero le cose li fuori
e mi sento un pagliaccio
quando ti leggo
quando cerco di capire
di imparare la tua arte
e a te viene così naturale
mentre io
se vomito ciò che ho dentro
vedo solo
parole
tristezza
disperazione
rabbia
repressa
leggo che sono d e p r e s s a.
Voglio la favola.
Voglio l’amore.
Voglio l’estro del fottermene della forma.
Sai
a volte ti invidio
e oggi
oggi ho pianto
tanto per cambiare mi sono sentita
diversa
diversa dalle parole che vorrei
che leggo
dai visi che non ricordo mai
a cui sorrido
diversa
dalle facce che non dimentico
dall’apatia che mi sotterra
diversa da tutto il resto del mondo
che bene o male campa
oppure muore
ma c’è chi dice: è la vita
si va avanti.
Sai
oggi sono davvero io,
il pagliaccio
quella che tolto il trucco
fuma troppo
dice parolacce
si incazza per tutto
anche se non gliene dovrebbe fregare un cazzo
ma non si lamenta più
Oggi ho visto le vostre facce oltre
le vostre parole
e mi sono trovata in difetto
mi sono fatta paura
e ho pianto.

Sono solo un pagliaccio.

Cristina Desogus

Non-Senso

domenica, Ottobre 28th, 2012

Sono il cammino sterile della pioggia,
con foga ingravido di martirio la terra
già pregna di rancore e orrore umano.

Altre volte sono granaio che straripa,
senza alcun rimorso vedo mio fratello
a terra, muore per mancanza di pane.

Anche oggi è morto il giorno in me.

Sono il falco assassino da calunniare,
con me si diletta l’amabile colomba,
sul tetto m’apre le cosce, sorridente
macchia col mio sangue il suo petto.

Muore dentro occhi ciechi l’umanità.
Il verme rincorre la foglia per mutare
aspetto, s’atteggia, si sente leggero.

Anche oggi è morto il giorno su mani
impeccabili, sono tese e offrono fame.

Stringendo, mi scompongo fuori asse,
chiuso in virgole ed editti che godono
dentro dottrine riempite di menzogne.

-In foreste di pioppi, hai mai cercato
fiori nell’ombra emarginata dal tutto?
Te lo vedi cadere addosso il decorso
di pace e l’infame rovescio del sereno.

Sono il Non-Senso dell’essere Vita.

Sono il minuto di solidarietà sincera
per la morte, di ora in ora annaspo
nel falso vociferare di verità assolute,

sano il giorno defunto nelle tue virtù,
il cieco afflitto da pregiudizi e morale.

Cristina Desogus

Forse

venerdì, Ottobre 26th, 2012

Le troppe attese
svuotate di te
migliorano la lentezza
delle ore.

-Taccio!

Osservo discordanti
colori e orli di albe
di cui si è fatto il fondo

in abisso opalescente
sprofondo
nei dove, negli oltre

di nuovo
la mente si fa taglio
gli occhi stiletto

e di tutta la tua ombra
neppure minima parte
a me promette sangue.

Il tuo essere
distensione del silenzio
suggerisce anche ora

andare
tornare all’origine
vivere

l’elemosina di un verbo
di un verso vergine
in cui fare tracollo fiero.

Cristina Desogus

Pazzia

domenica, Ottobre 21st, 2012

Così stanotte spalanca il suo cancello.
Che amante affascinante Pazzia!

Riflesso di mefistofelici amplessi
e macchia di muti fantasmi sui muri.
Quel lume tremulo, che piacere!
Penetra la carne con orgasmi crudeli,
e la ferita infetta riesuma
arcani viaggi celati in fossa di inganni.
Che sposa virtuosa Pazzia!
Nelle notti solitarie sei casta fanciulla,
graffio di parola crocefissa alle idee
e sei prodiga preghiera colata in abissi
di bestemmia dietro i muri ovattati.

Ma tu, mia fontana cristallina, perché
oggi mi trafiggi di verità corrotte
e ti muovi nel vento come foglia morta?
Con che vigore scorri nelle vene!
Mi pervadi la bocca di ipnotici aromi
e mi sleghi i capelli nel bugiardo oblio
ammettendo il vero dell’Essere,
equilibrista incosciente e degenere
su corda viscida sospesa nel precipizio.

Alcova vergine, sanguinando
mi liberi addosso il tuo oscuro mondo.

Che amante seducente Pazzia!
Sto pensando se amarti od odiarti:
non per gentilezza o spavento
ma per freddo avanzo di tempo perso.
Non cerco più la traccia delle tue visite,
dentro il mio corpo di freddo marmo:
la memoria si perde, e i rimpianti
sono svaniti nel domani di un’onda,
laggiù, dove l’orfana scogliera
arresta il respiro prima del sussulto.

Così stanotte spalanchi il tuo cancello.
Si stingono le ombre e le angosce,
e mi richiami in vita dentro
il contorno delle labbra con due dita,
e mentre l’alba si offre alla notte
con false promesse di fedeltà, l’ora
impaziente divora orizzonti di tempo
e i forse tracimano in me incoerenti.

Regina degli erranti, oggi
con quali realtà hai allattato il senno?

Cristina Desogus